IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento a carico di Accornero Emilia,
nata  a  Torino  il  18  febbraio  1945,  e Fiorelli Graziano, nato a
Fossombrone il 29 settembre 1937, imputati, la prima, «del delitto di
cui  all'art.  5,  comma  3  d.lgs.  26 maggio 1997, n. 153, per aver
esercitato  attivita' finanziarie di incasso e trasferimento di fondi
(comprese  in  quelle  individuate dai decreti legislativi emanati ai
sensi  dell'art. 15,  comma  1,  lett. c) della legge n. 52 del 1996)
senza  essere  iscritta  all'elenco degli agenti a cio' abilitati. In
particolare  quale titolare dell'omonima ditta individuale effettuava
operazioni  di  trasferimento  di  danaro  quale  submandataria della
Finint  S.p.a. Agente Western Union», il secondo, «del delitto di cui
agli  artt.  110,  40  cpv.  c.p.,  5 comma 3, d.lgs. 26 maggio 1997,
n. 153,  per avere, nella sua qualita' di legale rappresentante della
Finint  S.p.a.  Agente Western Union, omettendo di assicurarsi che il
proprio   subagente  Accornero  Emilia  fosse  regolarmente  iscritta
nell'elenco  dei  soggetti  autorizzati allo svolgimento di attivita'
finanziarie   di   incasso   e   trasferimento   di  fondi,  concorso
nell'attivita'  illecita della predetta Accornero meglio descritta al
capo precedente;
    Nel  decidere  sull'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art.  5,  comma  3,  d.lgs. 26 maggio 1997 n. 153, sollevata dai
difensori  di fiducia degli imputati, con riferimento agli artt. 76 e
77  della  Costituzione  e  all'art. 15,  comma  1,  lett.  c), legge
n. 52/1996,  nonche' con riferimento all'art. 25, secondo comma della
Costituzione;
    Sentito il pubblico ministero;
    Rilevato   che,   secondo  un  primo  profilo  di  illegittimita'
costituzionale   posto   in  rilievo  dalla  difesa,  il  legislatore
delegato, nell'introdurre la norma punitrice oggi contestata (delitto
punito  con  la pena congiunta della reclusione e della multa: art. 5
comma  3,  d.lgs  n. 153/1997),  ha  ecceduto i limiti indicati dalla
legge  delega  n. 52/1996,  la  quale, all'art. 15 comma 1, lett. c),
aveva fatto riferimento, in ordine sia alla previsione della condotta
incriminata   sia  alle  sanzioni  da  comminare,  al  decreto  legge
n. 143/1991  (convertito  con modificazioni nella legge n. 197/1991),
il quale invece disciplina fattispecie di reato differenti rispetto a
quelle  indicate  nella  norma  in  questione  e  per giunta a titolo
contravvenzionale;
        che,   secondo   un   diverso   profilo   di   illegittimita'
costituzionale   dedotto   dalla   difesa,   fondato  sul  fatto  che
l'attivita'  di  cui  si  contesta  il  presunto esercizio abusivo e'
quella  di  trasferimento  di  denaro  (c.d. money transfer), nonche'
sulla  considerazione  che l'art. 4, d.m. 6 luglio 1994, in ordine al
contenuto delle attivita' indicate nell'art. 106, d.lgs. n. 385/1993,
prevede  che  per prestazioni di servizi di pagamento si intende, tra
l'altro,   l'attivita'   di  intermediazione  finanziaria  esercitata
mediante  l'incasso  ed  il trasferimento di fondi, alla luce di tale
quadro  normativo,  l'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997, ove inteso
come  riferito  anche all'attivita' di money transfer, determinerebbe
una  violazione  del  principio di legalita' di cui all'art. 25 della
Costituzione,  giacche'  la  scelta  di considerare reato l'esercizio
abusivo  dell'attivita'  di money transfer non sarebbe compiuta dalla
fonte  primaria,  silente  sul  punto,  ma dalla fonte regolamentare,
ossia il d.m. 6 luglio 1994;

                            O s s e r v a

    1.  -  Premesso  che  il  dibattimento  non e' stato aperto e che
quindi l'unico punto di riferimento, al fine di vagliare le questioni
sollevate   dalla   difesa,   e'   costituito   dalla  prospettazione
accusatoria contenuta nell'imputazione, occorre ricordare, al fine di
valutare  la rilevanza e la fondatezza di questa prima eccezione, che
la  condotta addebitata dal pubblico ministero all'imputata Accornero
(quella  ascritta  al Fiorelli e' omissiva e consiste in sostanza nel
mancato  controllo  della  submandataria Accornero) e' quella di aver
esercitato  attivita' finanziarie di incasso e trasferimento di fondi
senza la previa iscrizione nell'elenco degli agenti a cio' abilitati.
    In  sostanza, la normativa di riferimento consta della disciplina
comunitaria  (direttiva  10  giugno 1991 n. 91/308/CEE, relativa alla
prevenzione  dell'uso  del sistema finanziario a scopo di riciclaggio
dei   proventi   di  attivita'  illecite;  direttiva  successivamente
abrogata  dall'art.  44  della direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio  n. 60  del 20 ottobre 2005), della legge delega 6 febbraio
1996,  n. 52,  recante  disposizioni  per  l'adempimento  di obblighi
derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita' europee, e
dall'art. 5,  comma  3, d.lgs. n. 153/1997, che punisce per l'appunto
chiunque  esercita  le  attivita' individuate dai decreti legislativi
emanati  ai  sensi  dell'  art. 15,  comma  1,  lett.  c) della legge
n. 152/1996,  senza  essere  iscritto  nell'elenco  di cui al comma 2
dello stesso art. 5.
    La  direttiva comunitaria n. 308 del 1991 prevedeva che gli Stati
membri  avrebbero  provveduto  ad  estendere, in tutto o in parte, le
disposizioni  della  stessa  direttiva  ad  attivita' professionali e
categorie   di   imprese   -  diverse  dagli  enti  e  dalle  persone
direttamente   e   consapevolmente   coinvolte   nell'  attivita'  di
riciclaggio   -   le   quali   svolgono   attivita'   particolarmente
suscettibili  di  essere  utilizzate  a  fini  di  riciclaggio  o  di
finanziamento del terrorismo.
    Per  cio' che qui in particolare interessa, l'art. 15 della legge
6  febbraio  1996  n. 52  (Riciclaggio  dei  capitali  di provenienza
illecita  e  circolazione  transfrontaliera  dei capitali: criteri di
delega) stabilisce quanto segue:
        1.   -   L'integrazione   dell'attuazione   della   direttiva
91/308/CEE  del  Consiglio  sara'  informata  ai  seguenti principi e
criteri direttivi:
          a)  provvedere al riordino del regime di segnalazione delle
operazioni di cui all'art. 3 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, al
fine  di favorire le segnalazioni stesse garantendo, anche attraverso
il  ricorso  a  procedure  informatizzate,  la  massima  efficacia  e
tempestivita'   nella   organizzazione,  trasmissione,  ricezione  ed
analisi   delle   segnalazioni,   rendendo   altresi'   effettiva  la
possibilita'  di sospensione dell'operazione senza pregiudizio per il
corso  delle  indagini  e  l'operativita' corrente degli intermediari
finanziari;
          b)  prevedere  adeguate  misure  dirette alla protezione in
favore  dei  soggetti  che effettuano le segnalazioni, in particolare
garantendo  la  tutela  della riservatezza delle stesse in ogni sede,
comprese quella aziendale, investigativa e giudiziaria, anche al fine
di evitare il pericolo di ritorsioni;
          c)   estendere,  ai  sensi  dell'art.  12  della  direttiva
91/308/CEE,  in  tutto od in parte, l'applicazione delle disposizioni
di cui al citato decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con
modificazioni,  dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, a quelle attivita'
particolarmente  suscettibili  di utilizzazione a fini di riciclaggio
per  il  fatto  di  realizzare  l'accumulazione o il trasferimento di
ingenti  disponibilita' economiche o finanziarie o risultare comunque
esposte  ad infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata. La
formazione o l'integrazione dell'elenco di tali attivita' e categorie
di  imprese,  con gli eventuali requisiti di onorabilita' e misure di
controllo, avverra' con uno o piu' decreti legislativi da emanare, su
proposta  del  Ministro  del tesoro, di concerto con i Ministri della
giustizia, dell'interno e delle finanze, entro due anni dalla data di
entrata in vigore del decreto attuativo delta presente delega, con la
procedura di cui al comma 4 dell'art. 1 della presente legge;
          d)  riesaminare,  al fine di accrescerne l'efficacia a fini
antiriciclaggio,  il regime relativo all'importazione ed esportazione
al  seguito di denaro, titoli e valori mobiliari, anche eventualmente
modificando  l'art.  3  del  decreto-legge  28  giugno  1990, n. 167,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 4 agosto 1990, n. 227,
assicurando  in  ogni  caso  la  compatibilita' di tale regime con la
libera  circolazione delle persone e dei capitali sancita dal diritto
comunitario,  secondo la giurisprudenza interpretativa della Corte di
giustizia delle Comunita' europee;
          e)  tenere  conto  adeguato, nel dare attuazione ai criteri
che  precedono,  anche  degli  orientamenti  e  delle indicazioni che
emergono  nelle  competenti  sedi internazionali ed in particolare in
seno  al  comitato di contatto istituito dall'art. 13 della direttiva
91/308/CEE  ed  al Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI). In ogni caso,
il  potere  di  identificazione  da  parte  dell'autorita'  consolare
italiana  dei  soggetti  operanti  dall'estero  sara'  limitato  alle
rappresentanze diplomatiche o consolari di prima categoria.
        2.  -  In sede di riordinamento normativo, ai sensi dell'art.
8, delle materie concernenti il trasferimento di denaro contante e di
titoli   al   portatore,  nonche'  il  riciclaggio  dei  capitali  di
provenienza  ifiecita,  potra'  procedersi al riordino delle sanzioni
amministrative  e  penali previste nelle leggi richiamate al comma 1,
nei limiti massimi ivi contemplati.
        3.  -  Al decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143 convertito, con
modificazioni,  dalla  legge 5 luglio 1991, n. 197, sono apportate le
eguenti modificazioni:
          a) (Omissis) (1);
          b) (Omissis) (2);
          c) (Omissis) (3);
    (1)  Modifica il comma 1 dell'art. 1, d.l. 3 maggio 1991, n. 143,
conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197.
    (2)  Aggiunge  il  comma  2-bis  all'art. 1,  d.l. 3 maggio 1991,
n. 143, conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197.
    (3)  Modifica il comma 2 dell'art. 5, d.l. 3 maggio 1991, n. 143,
conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197.
    L'art. 5  d.lgs.  n. 153/1997 (Integrazione dell'attuazione della
direttiva  91/308/CEE  in  materia  di  riciclaggio  dei  capitali di
provenienza   illecita),   emanato   in  attuazione  della  normativa
delegante appena citata, prevede quanto segue:
        1.  -  Ai soggetti che svolgono, ai sensi dell'art. 15, comma
1,  lettera  c),  della  legge  6  febbraio 1996, n. 52, le attivita'
individuate  nei  decreti  di  cui  al  medesimo  articolo, in quanto
particolarmente  suscettibili  di utilizzazione a fini di riciclaggio
per  il  fatto  di  realizzare  l'accumulazione o il trasferimento di
ingenti  disponibilita'  economiche  o  finanziarie  o  di  risultare
comunque   esposte   a  infiltrazioni  da  parte  della  criminalita'
organizzata  e'  estesa,  nei  limiti  di  cui  ai  successivi commi,
l'applicazione  delle  disposizioni  del decreto-legge 3 maggio 1991,
n. 143,  convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 5 luglio 1991,
n. 197.
        2. - Ai fini delle attivita' individuate ai sensi del comma 1
e'  istituito un elenco di operatori, suddiviso per categorie, tenuto
dal  Ministro  del  tesoro,  che  si avvale dell'Ufficio italiano dei
cambi.  Ove  l'esercizio  delle  predette  attivita'  sia subordinato
all'iscrizione  in  ruoli  o  albi  tenuti  da pubbliche autorita' da
ordini  o  da consigli professionali, tali ruoli o albi sostituiscono
l'elenco di cui sopra tenuto dal Ministro del tesoro.
        3.  -  Chiunque esercita le attivita' individuate dai decreti
legislativi emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera c), della
legge  6  febbraio  1996, n. 52, senza essere iscritto nell'elenco di
cui  al  comma  2,  e' punito con la reclusione da sei mesi a quattro
anni e con la multa da Euro 2.065 a Euro 10.329.
       Il   legislatore   delegante,   quindi,  per  dare  attuazione
all'art. 12  della  direttiva  91/308/CEE,  ha  previsto  che  quello
delegato  estendesse,  in  tutto  od  in  parte, l'applicazione delle
disposizioni   di   cui  al  decreto-legge  3  maggio  1991,  n. 143,
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, a
quelle attivita' particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini
di  riciclaggio  per  il  fatto  di  realizzare  l'accumulazione o il
trasferimento  di  ingenti  disponibilita' economiche o finanziarie o
risultare   comunque   esposte   ad   infiltrazioni  da  parte  della
criminalita' organizzata.
    Ed  ha  inoltre  stabilito  che  la  formazione  o l'integrazione
dell'elenco  di  tali attivita' e categorie di imprese sarebbe dovuta
avvenire  con  uno o piu' decreti legislativi da emanare, su proposta
del  Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri della giustizia,
dell'interno  e  delle  finanze,  con  la procedura di cui al comma 4
dell'art. 1 della presente legge.
    Al   fine   di   verificare   la  rilevanza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale nel caso di specie (e' stata contestata,
come  detto,  l'attivita'  finanziaria  di incasso e trasferimento di
fondi  senza  la preventiva iscrizione nell'elenco degli agenti a cio
abilitati),   occorre  sottolineare  come  l'art.  1  del  d.lgs.  25
settembre  1999,  n. 374 (Estensione delle disposizioni in materia di
riciciaggio   dei  capitali  di  provenienza  illecita  ed  attivita'
finanziarie  particolarmente  suscettibili di utilizzazione a fini di
riciclaggio, a norma dell'art. 15 della legge 6 febbraio 1996, n. 52)
avesse,  anch'esso  in  attuazione  della  legge  delega  n. 52/1996,
disposto  l'applicazione  del  decreto-legge  3  maggio 1991, n. 143,
convertito, con modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, tra
le  altre,  alle  attivita'  (il  cui  esercizio resta subordinato al
possesso   delle   licenze,  autorizzazioni,  iscrizioni  in  albi  o
registri, ovvero alla preventiva dichiarazione di inizio di attivita)
di  «agenzia  in  attivita'  finanziaria  prevista  dall'art. 106 del
decreto   legislativo   1°   settembre  1993,  n. 385»  (testo  unico
bancario),  tra  le  quali  (art. 1  lett.  a) decreto ministeriale 6
luglio  1994  sulla  determinazione, ai sensi dell'art. 106, comma 4,
del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, del contenuto delle
attivita'  indicate  nello stesso art. 106, comma 1, nonche' in quali
circostanze   ricorre   l'esercizio   delle  suddette  attivita'  nei
confronti  del  pubblico) le attivita' di intermediazione finanziaria
esercitata  mediante  l'incasso  ed  il trasferimento di fondi, ossia
l'attivita' indicata nell'imputazione.
    Stabilita,  sotto  questo  versante, la rilevanza della questione
proposta  dalla  difesa,  deve  verificarsi se la norma sanzionatoria
prevista  dal  decreto  legislativo  n. 153/1997  risponda ai criteri
direttivi ed ai principi indicati dalla legge delega.
    In  relazione  alla  rispondenza  della condotta incriminata alle
indicazioni  contenute  nella legge delega, la fattispecie delittuosa
prevista  dall'art. 5  d.lgs  n. 153/1997  (esercizio delle attivita'
individuate  dai  decreti  legislativi emanati ai sensi dell'art. 15,
comma  1,  lettera  c),  della legge 6 febbraio 1996, n. 52, senza la
preventiva  iscrizione nell'elenco di cui al comma 2) non presenta ad
avviso di questo giudice alcun eccesso.
    Posto   che   l'individuazione  delle  attivita'  particolarmente
suscettibili  di utilizzazione a fini di riciclaggio, per il fatto di
realizzare    l'accumulazione   o   il   trasferimento   di   ingenti
disponibilita'  economiche o finanziarie o risultare comunque esposte
ad  infiltrazioni  da  parte  della  criminalita' organizzata (tra le
quali,  lo  si e' visto, quella contestata agli odierni imputati), e'
stata   correttamente   fatta   dal   legitare  delegato,  attraverso
l'emanazione  del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, deve
ritenersi  che  la  condotta  punita  dall'art. 5  d.lgs. n. 153/1997
risponda  parimenti  alle  direttive  della  legge  delega,  laddove,
attraverso   il  riferimento  di  quest'ultima  all'applicazione  del
decreto-legge  3  maggio 1991, n. 143, convertito, con modificazioni,
nella  legge  5  luglio  1991,  n. 197,  sanziona l'esercizio di tali
attivita'  in  assenza della preventiva iscrizione nell'elenco di cui
al  comma  2 dello stesso art. 5: difatti, in primo luogo, se e' vero
che  il  legislatore  delegante,  nel rivolgere i criteri direttivi a
quello  delegato,  ha  avuto  in  subiecta  materia  certamente  come
precipuo  punto  di  riferimento  le  norme,  preesistenti nel nostro
ordinamento  alla  legge  delega,  del  decreto  legge 3 maggio 1991,
n. 143  convertito  in  legge  5  luglio  1991, n. 197 (provvedimenti
urgenti  per  limitare  l'uso  del contante e dei titoli al portatore
nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario
a  scopo  di riciclaggio), lo stesso delegante ha specificato in ogni
caso  che l'applicazione del d.l. n. 143/1991 sarebbe dovuta avvenire
in  tutto  o  in  parte,  lasciando  cosi' al legislatore delegato il
compito  di  individuare  attivita'  particolarmente  suscettibili di
utilizzazione  a  fini di riciclaggio che non fossero contemplate nel
d.l.  in  oggetto;  deve ancora sottolinearsi, sempre sul punto della
condotta  prevista  dalla  norma  sanzionatoria  oggi contestata agli
imputati,  che  lo stesso d.l. prevede, tra le altre disposizioni, un
sistenia  di obblighi di identificazione e di registrazione (art. 2),
nonche' di sanzioni, procedure e controlli finalizzati all'osservanza
di  tali  obblighi  (art. 5),  assimilabile alla fattispecie di reato
introdotta dall'art. 5 d.lgs. n. 153/1997.
    Se sotto questo primo aspetto rilevato dalla difesa non si scorge
alcuna   violazione   del   principio   costituzionale   di   delega,
diversamente   deve   ritenersi   con  riferimento  alla  scelta  del
legislatore  delegato  di  sanzionare la condotta illecita in esame a
titolo di delitto e comunque con sanzioni superiori ai limiti fissati
nelle disposizioni incriminatrici richiamate nella legge delega.
    Ad  avviso di questo giudice, la scelta del legislatore delegante
di  indirizzare  quello  delegato, nella previsione degli illeciti di
rilevanza   penale   di   futura   elaborazione,   sulla   disciplina
contravvenzionale  ed entro i limiti stabiliti nel d.l. n. 143/1991 -
il  quale,  all'entrata  in  vigore  della  legge delega, contemplava
all'art. 5  (commi  4  e  6),  tra  gli  illeciti  penali, unicamente
fattispecie  contravvenzionali,  si  trae,  sotto  il  profilo  della
ricerca  della volonta' legislativa, non soltanto dal riferimento, di
carattere  generale,  all'applicazione, in tutto o in parte, del d.l.
n. 143/1991, panoramica normativa di principale riferimento, lo si e'
detto,  per  il legislatore delegante, ma altresi' dalla disposizione
contenuta  nella  legge  delega,  all'art.  15  comma  2,  laddove e'
previsto  espressamente  che  «in sede di riordinamento normativo, ai
sensi  dell'art.  8,  delle  materie  concernenti il trasferimento di
denaro  contante e di titoli al portatore, nonche' il riciclaggio dei
capitali di provenienza illecita, potra' procedersi al riordino delle
sanzioni  amministrative  e penali previste nelle leggi richiamate al
comma 1, nei limiti massimi ivi contemplati».
    Posto  che la legge richiamata nel comma 1 dell'art. 15 citato e'
proprio  il  decreto-legge  3  maggio  1991,  n. 143, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge 5 luglio 1991, n. 197, deve fondatamente
ritenersi,   sotto   l'aspetto  interpretativo,  che  il  legislatore
delegante   avesse   inteso  indirizzare  quello  delegato  verso  la
previsione  di  fattispecie  contravvenzionali  e  la comminatoria di
sanzioni  penali non superiori a quelle previste nel d.l n. 143/1991,
che, tra l'altro, come piu' volte ribadito, costituisce il principale
punto  di  riferimento  normativo  del delegante: difatti, seppure il
comma 2 citato e' direttamente pensato per il riordinamento normativo
e  l'elaborazione  di un testo unico nella materia in questione e non
in vista della disciplina dei singoli reati, appare evidente, secondo
questo   giudice,   che   la  volonta'  complessiva  del  legislatore
delegante, anche alla luce di tale disposizione, fosse proprio quella
della previsione di fattispecie penali a titolo di contravvenzioni ed
entro i limiti edittali indicati nel d.l n. 143/1991.
    E'  appena  il  caso  di  rilevare come l'elaborazione originaria
dell'art. 6,  d.l  n. 143/1991  prevedesse  al  comma 9 una figura di
delitto  per  l'esercizio  delle  attivita'  di  cui al comma 1 dello
stesso articolo da parte di soggetti non iscritti nell'elenco, ovvero
per  i  quali comunque non sussistessero le condizioni di iscrizione,
comminando  una pena (reclusione da sei mesi a quattro anni e da lire
quattro  milioni  a  lire  venti  milioni)  del tutto eguale a quella
stabilita  dalla  norma  oggi  contestata; e come, in ogni caso, tale
ipotesi  di  delitto  fosse  stata  abrogata,  in forza dell'art. 161
d.lgs.  n. 385/1993, onde, nell'epoca successiva di entrata in vigore
della  legge  6  febbraio  1996,  n. 52, il legislatore delegante non
poteva di certo riferirsi a tale disposizione incriminatrice.
    La  regolazione  della  fattispecie delittuosa in oggetto, con la
previsione  di  un regime sanzionatorio di pene congiunte (reclusione
da  sei  mesi a quattro anni e multa da Euro 2.065 a Euro 10.329), e'
quindi  a  giudizio  del  tribunale  esorbitante  rispetto ai criteri
direttivi  indicati  dal legislatore delegante, perche' introduce una
figura   di  delitto,  come  tale  ontologicamente  piu'  grave  (per
giurisprudenza  costante,  nonche'  per previsione normativa: art. 16
comma  3  c.p.p.)  della  contravvenzione, assistita oltretutto da un
sistema  di  pene superiore ai limiti edittali previsti nelle diverse
contravvenzioni  di cui al d.l n. 143/1991 (arresto da sei mesi ad un
anno  e  ammenda  da  lire  dieci  milioni  a lire cinquanta milioni;
arresto da sei mesi ad un anno o ammenda da lire dieci milioni a lire
cento milioni).
    Quand'anche si volesse ritenere che il legislatore delegante, nel
richiamare   all'art.  15  comma  2  i  limiti  massimi  sanzionatori
contemplati  dalle  leggi  indicate  al  comma  1, avesse inteso fare
riferimento,  oltre che al d.l n. 143/1991, anche al d.l n. 167/1990,
convertito   nella   legge   n. 227/1990  (legge  anch'essa  indicata
dall'art.  15, comma 1 della legge delega), che all'art. 5 punisce le
false   indicazioni  agli  intermediari  di  cui  all'art. 1  con  la
reclusione  da  sei  mesi ad un anno e la multa da un milione a dieci
milioni di lire, e' evidente che quello delegato, nel prevedere nella
norma in oggetto sanzioni superiori (reclusione da sei mesi a quattro
anni  e multa da Euro 2.065 a Euro 10.329), abbia comunque ecceduto i
limiti  prefissati; lo stesso ragionamento vale per l'art. 13 comma 8
del  d.l  n. 625/1979, convertito nella legge n. 15/1980, che, seppur
contenuto.  in  una  legge  non richiamata dall'art. 15 comma 1 della
legge   delega   del  1996,  e'  stato  sostituito  proprio  dal  d.l
n. 143/1991, peraltro con la previsione di una fattispecie delittuosa
punita  con la pena congiunta della reclusione da sei mesi ad un anno
e  della  multa  da  un milione a dieci milioni di lire, e quindi con
limiti  edittali inferiori a quelli stabiliti dalla disposizione oggi
contestata agli imputati.
    In  conclusione,  con  riferimento  al  profilo  normativo teste'
segnalato,   la   questione  di  legittimita'  costituzionale  appare
rilevante  in  rapporto  alla fattispecie concreta all'attenzione del
tribunale  e  non  manifestamente  infondata,  per  violazione  degli
artt. 76 e 77 della Costituzione.
    Per  cio'  che  concerne  il  secondo  profilo  di illegittimita'
costituzionale  indicato  dalla  difesa, quello relativo alla dedotta
violazione del principio di riserva di legge di cui all'art. 25 della
Costituzione,  la  questione,  certamente rilevante in relazione alla
contestazione  oggi  formulata  per le stesse ragioni gia' esaminate,
con  riferimento  all'altra  eccezione,  si  presenta  secondo questo
giudice manifestamente infondata.
    Si   e'   visto   che  il  legislatore  delegato,  in  attuazione
dell'art. 15,  legge  delega  6  febbraio  1996, n. 52 avesse, con il
d.lgs.  n. 153/1997,  introdotto  la  norma  sanzionatoria (esercizio
abusivo  delle attivita' individuate dai decreti legi-slativi emanati
ai sensi dell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega, senza
la  preventiva  iscrizione  nell'elenco di cui al comma 2) addebitata
agli  odierni imputati, e, con l'art. 1 del d.lgs. 25 settembre 1999,
n. 374  (estensione  delle disposizioni in materia di riciclaggio dei
capitali   di   provenienza   illecita   ed   attivita'   finanziarie
particolarmente  suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio,
a  norma  dell'art. 15  della  legge),  disposto  l'applicazione  del
decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, tra le altre, alle attivita' (il
cui   esercizio   resta   subordinato   al  possesso  delle  licenze,
autorizzazioni, iscrizioni in albi o registri, ovvero alla preventiva
dichiarazione  di  inizio  di  attivita)  di  «agenzia  in  attivita'
finanziaria   prevista   dall'art. 106  del  decreto  legislativo  1°
settembre  1993,  n. 385»  (testo  unico  bancario), tra le quali (in
forza  dell'  art.  1  lett.  a)  decreto ministeriale 6 luglio 1994)
quelle  di  intermediazione finanziaria esercitata mediante l'incasso
ed il trasferimento di fondi.
    Il  dato  temporale,  ovvero  la  preesistenza della disposizione
regolamentare  alla  disciplina  introdotta  dai  decreti legislativi
n. 153/1997  e  n. 374/1999, ad avviso di questo giudice presenta una
valenza  decisiva:  posto  che,  al  momento  dell'emanazione dei due
decreti   legislativi,   il   decreto  ministeriale  6  luglio  1994,
richiamato  secondo  la  tecnica legislativa sopra indicata, era gia'
esistente,  e'  stato  quindi  il  legislatore ordinario a prevedere,
nella  figura  di  illecito introdotta dal combinato disposto dei due
decreti   legislativi,  l'esercizio  di  intermediazione  finanziaria
mediante  l'incasso ed il trasferimento di fondi, individuandolo come
una  di  quelle  attivita'  potenzialmente  soggette ad infiltrazioni
malavitose e agevolatrici di manovre di riciclaggio.
    A  ben vedere, il legislatore ordinario non ha rimesso alla fonte
regolamentare  di  rango  inferiore  il  compito  di  individuare  le
attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a
fini  di  riciclaggio  o  di  modificare  l'assetto  sino  ad  allora
esistente,  ma  ha preso atto della presenza, nel nostro ordinamento,
della  previsione  dell'  attivita'  di  intermediazione  finanziaria
mediante  l'incasso ed il iasferimento di fondi, recependola, insieme
ad altre numerose attivita', nel precetto penale e nella sanzione che
colpisce  chi  svolge  tali  attivita' senza la preventiva iscrizione
nell'elenco prescritto.
    Cosi'  rigidamente  recepita  dalla  fonte primaria l'indicazione
contenuta  in quella secondaria, non e' certo violato il principio di
riserva  di  legge  penale  di  cui  all'art.  25 della Costituzione;
difatti  in ordine alla delimitazione dei rapporti tra legge penale e
fonti  subordinate  alla  medesima,  e' giurisprudenza costante della
Corte  costituzionale  ritenere  che  il  principio  di  legalita' in
materia  penale  e'  soddisfatto,  sotto  il profilo della riserva di
legge  (art.  25,  secondo comma, Costituzione), allorquando la legge
determina  con sufficiente specificazione il fatto cui e' riferita la
sanzione penale.
    In  corrispondenza  della  ratio  garantista  della  riserva,  e'
infatti  necessario che la legge consenta di distinguere tra la sfera
del lecito e quella dell'illecito, fornendo a tal fine un'indicazione
normativa  sufficiente  ad  orientare  la  condotta  dei  consociati:
presupposto   che   nella  specie,  ritiene  questo  giudice,  si  e'
verificato  attraverso  il  recepimento  normativo,  tra le attivita'
particolarmente  suscettibili  di infiltrazioni malavitose ed esposte
al  riciclaggio,  di  quella  di  intermediazione finanziaria tramite
l'incasso  ed  il trasferimento di fondi indicata dall'art. 4, d.m. 6
luglio 1994.
    In  definitiva,  quest'eccezione di illegittimita' costituzionale
deve essere disattesa per manifesta infondatezza.